Del perché non traduco in inglese

Ogni volta che devo presentarmi e spiegare a un gruppo di persone che lavoro faccio mi viene l’ansia.

Tanto per cominciare, non posso esordire con un “mi chiamo Alice e faccio la traduttrice”, perché il traduttore è nemico delle rime (a meno che non stia traducendo un testo in cui sono previste). Come se non bastasse, corro il pericolosissimo rischio che qualcuno mi proponga di tradurgli il suo sito/libro/racconto/[inserire quello che la fantasia suggerisce: qualcuno l’avrà chiesto di certo]. In inglese. Che non è la mia lingua madre. A quel punto sono costretta a spiegare perché no, perché non traduco verso una lingua in cui non penso, neanche se mi paghi (possibilmente una miseria).

Domani sarà una di quelle volte in cui dovrò presentarmi e benché ormai descriva il mio lavoro con una perifrasi “mi chiamo Alice e traduco libri” stamani mi sono detta che forse avrei potuto spiegare sul blog il motivo per cui mi rifiuto di tradurre in una lingua che non è la mia; la prossima volta che qualcuno mi porrà la domanda fatidica, gli risponderò recitandogli a memoria questo link.

Dunque, per farla breve, mi rifiuto di tradurre verso una lingua che non è la mia perché è faticosissimo. Per quanto possa conoscerlo e amarlo (e da quando traduco ho scoperto che il mio livello di conoscenza è miserrimo, per tacere del fatto che ogni giorno sono sempre più attanagliata dai dubbi), l’inglese non è la lingua in cui penso, non è la lingua in cui sogno (forse qualche volta mi è pure capitato), non è la lingua nella quale vivo, nonostante legga libri e articoli in inglese, nonostante ascolti le radio inglesi, nonostante veda serie televisive in inglese e americano. La lingua che riesco a manipolare, e non ancora ai livelli che vorrei (di nuovo, da quando traduco i dubbi superano le certezze), è la mia lingua mamma, quella che mi hanno insegnato da piccola, quella che ho imparato sui libri scolastici e attraverso i romanzi, quella che ascolto ogni giorno in tutte le sue sfumature gergali, dialettali e settoriali.

Tradurre non è conoscere quattro regole di grammatica e applicarle, tradurre non è aprire il dizionario e scegliere il primo traducente che capita sott’occhio. Si traducono parole ma si traducono anche strutture, le strutture delle frasi e le strutture del pensiero. Si traducono culture e si traducono mondi.

Riuscite a immaginare, dunque, la fatica di dover tradurre un mondo che, per quanto amiate, non è il vostro? Riuscite a immaginare la fatica di doversi chiedere a ogni parola, a ogni frase tradotta, se è proprio quello il modo in cui un parlante di quella lingua lo direbbe, lo penserebbe?
No, non riuscite a immaginarla.
E allora fidatevi di chi, costretto a rivedere una traduzione in finto inglese, ha preferito rifarla di sana pianta; fidatevi di chi, non credendo fino in fondo al proprio istinto che gli urlava “quello non è inglese, cazzo!”, ha fatto vedere quella stessa traduzione in inglese finto a un traduttore vero anglico, il cui commento è stato: “arghhh, ma è terribile”. Ecco, fidatevi e non chiedetemelo più!

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Faccio cose, vedo gente… e porto a casa #1

Da tempo non scrivo di traduzione, e non so il perché. O forse sì. In giro si trovano blog (e libri) scritti da colleghi molto più bravi ed esperti di me che, alla fin fine, scrivo per lo più cazzate, quando ne scrivo. Forse perché in questi ultimi tempi, poi, l’amarezza è stata più della soddisfazione, e quando si è spinti dall’amarezza è difficile parlare del proprio mestiere – quando riesco a esercitarlo – con serenità. Probabilmente avrei scritto dei post noiosamente amari o poco onesti. Insomma, direi che da quasi due anni mi viene difficile scrivere di traduzione, e credo che i motivi siano molteplici. Di parlare ne parlo – anche se con un certo disagio se lo faccio davanti ad altri colleghi, visto che continuo a sentirmi un’intrusa – ma di scriverne non c’è verso: sarà il famoso blocco dello scrittore traduttore!

Ma dicembre è l’ultimo mese sul calendario (nonché mese del mio compleanno) e si sa, quando l’anno nuovo si avvicina una lista di buoni propositi può scappare a chiunque. Eccovi dunque un buon proposito, – gli me/ve li risparmio – tornare a scrivere sul blog con più regolarità, anche di traduzione. E per buon auspicio comincio subito, spiegandovi il titolo di questo post.

Negli ultimi mesi mi è capitato di leggere molte interviste interessanti rilasciate da colleghi che hanno alle spalle dai dieci anni di esperienza a salire. In una di queste una traduttrice che considero un pilastro della mia formazione, Isabella Zani, dice:

Pur temendo di essere fraintesa, vorrei sintetizzare dicendo che questo «non è un mestiere per giovani». Mi spiego: nel suo testo il traduttore deve certo mettere ciò che ha studiato, ma anche ciò che ha letto, visto, sentito, vissuto; e se posso permettermi un giochetto, per vivere bisogna… vivere. Quando mi è capitato di incontrare studenti di traduzione ho sempre raccomandato loro di prepararsi al meglio dal punto di vista accademico, certo, ma anche di non avere fretta di mettersi a tradurre, e fare invece esperienze intellettuali e di vita. Leggere fino allo stremo delle forze, e leggere di tutto senza snobismi; viaggiare più che si può; andare al cinema, guardare la televisione (compresa la pubblicità), sentire la radio, imparare a padroneggiare al massimo la tecnologia digitale per far sì che lavori per noi, interessarsi di musica, arte, politica, scienza. («Leggere fino allo stremo delle forze» l’ho già detto?) Finanziando magari tutto questo impegno con lavori saltuari che possono anche non avere nulla a che fare con traduzioni e libri, ma che mettono in relazione con le persone. (Intervista a Isabella Zani che trovate qui, sul blog della Matita Rossa, un service editoriale che propone il corso Tradurre per l’editoria, condotto da Rossella Monaco e Thais Siciliano).

Leggendo questa parte della sua intervista mi è venuto in mente di dare il via a una rubrica (la prima in assoluto, in genere scrivo solo su ispirazione) in cui racconto quello che faccio e le persone che incontro quando non traduco. Isabella ha ragione da vendere: al traduttore tornano sempre utili le “esperienze intellettuali e di vita”. Può tornare utile una pubblicità vista di sfuggita, può tornare utile un particolare hobby, può tornare utile parlare con persone che lavorano in settori diversi e variegati. L’importante è saper ascoltare e in questo credo di avere una marcia in più: in genere parlo poco e ascolto molto.

Ecco dunque spiegato il titolo del post (e della rubrica): assimilo tutto quello che posso e arricchisco il mio bagaglio, ancora troppo leggero.

A questo punto, prima di lasciarvi, vi racconterò qualcuna delle cose che ho fatto da fine ottobre in avanti. Non temete, sarò velocissima!

Dicevo, fine ottobre, ossia Lucca Comics and Games. Che spettacolo, che emozione trovarsi in un luogo dove i tuoi gusti da nerd/geek trovano terreno fertile, dove non ti guardano strano ma ti fanno i complimenti per la maglietta che indossi! È stato divertente, stancante (provate voi a prendere un treno assaltato da orde di giovani cosplayer e non solo, provate voi a spostarvi da un punto all’altro di Lucca in mezzo a centinaia di migliaia di persone, di cui gran parte ingombranti per via dei costumi), e istruttivo nei momenti in cui potevo rilassarmi e ascoltare i ragazzi che chiacchieravano sul treno e a ogni angolo di strada.
La domenica successiva al weekend del Lucca Comics, tornaai ormai da qualche giorno a Palermo, ho partecipato allo Speed Networking organizzato da neu[nòi], – l’associazione di cui faccio parte – che si basa sullo stesso principio dello Speed Date ma ha lo scopo di mettere in contatto i lavoratori. A me non è servito per creare contatti di lavoro ma è stato interessante, più che altro per capire che tipo di professionisti girano a Palermo, almeno quelli che qui ci vivono ancora.
Nel frattempo, è iniziata la quinta edizione – dedicata questa volta al territorio palermitano – di Sementor, un percorso che permette di spaziare tra più ambiti, dal business plan, al marketing, alla comunicazione e via dicendo.
Ho anche assistito alla finale dello Startup Weekend, e infine ho avuto l’opportunità di raccontare il mio lavoro ai ragazzi che studiano lingua e traduzione francese con il professore Velez all’Università di Palermo, esperienza che mi ha permesso di raccontare il mestiere del traduttore editoriale tenendo i piedi ben piantati per terra (bel mestiere, sì, appassionante, ma…).

Insomma, un modo come un altro per non vivere su una torre d’avorio ma stare a contatto con gli altri, dialogare, ascoltare, imparare cose nuove.

Just be curious!

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Libri in the Well

I libri. La mia vita ruota intorno ai libri. Che sia per piacere o per lavoro, loro sono sempre lì, sulla scrivania, sul comodino, sul divano, sugli scaffali delle librerie. Non c’è momento della mia vita in cui non abbia un libro per le mani: no, il mio amore per i libri non conosce crisi (quello per altre cose sì; cose, cose, ho detto cose, non persone!).
Ed eccoci alla fatidica domanda: quanti libri leggi all’anno. Alla quale risponderei volentieri sessanta, settanta, cento! Ma no Alice, su, ridimensioniamoci: bene che vada riesco a leggerne una quarantina, cercando di trovare un equilibrio tra libri tradotti, in lingua originale (che nel mio caso significa inglese e tutte le sue declinazioni) e italiani.
Voi lettori dai grandissimi numeri, mi dite come diavolo fate ad arrivare a quei numeri lì? Ve li mangiate, i libri? Soffrite d’insonnia? Leggete mentre dormite? Su, confessate il vostro segreto, furfanti, altrimenti finirete nel pozzo dei libri malefici, un pozzo le cui pareti sono fatte di libri bruttissimi che vi faranno venire voglia di dormire e non leggere più 😛

Libri

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Pulizie, errori e Belzebù

Alzi la mano chi trova divertenti le pulizie! Ecco, salvo due tre folli, nessuno, come immaginavo. Ammettiamolo, però: hanno una loro utilità.

Ci giro intorno da un’ora o forse più, intorno a questo post. No, questa volta l’ironia non mi è d’aiuto. Resta inteso che le pulizie un’utilità ce l’hanno: movimenti meccanici e sempre uguali che favoriscono un flusso di pensieri continuo e ininterrotto, i libri letti e da leggere, il mondo che va a rotoli, le persone che ti circondano, la voglia di fare cose che non puoi fare, cosa c’è da fare oggi, cosa ci sarà da fare domani, cucina, pensa, pulisci, volontà di ferro, isolamento, passione, gioco, pensa, agisci, ama, lotta, credi, lavora, sindacato.
Sindacato. Me ne occupo attivamente da quando (settembre 2011) entrai nell’allora sezione traduttori del sindacato nazionale scrittori, Strade dal 30 gennaio 2012, tanto attivamente da diventarne uno dei segretari nell’ottobre 2013 (gli altri segretari sono Elena Doria, Daniele Petruccioli e Giordano Vintaloro). Una scelta dettata da una serie di motivi, tra cui un maledetto senso di responsabilità. Non certo per protagonismo.
Le passerelle le lascio a chi ci si trova a proprio agio sopra, le lascio a chi non fa che sbatterti in faccia il suo curriculum stellare, le lascio a chi si aspetta un tappeto rosso sempre e comunque.
No, non mi interessano le passerelle, mi basta riuscire a fare due tre cose buone per i traduttori dell’editoria, benché certuni non se le meritino, mi basta sforzarmi di non sbagliare troppo, che a forza di errare sto diventando Belzebù in gonnella (no, meglio in pantaloni).
E quando avrò smesso di impegnarmi a non sbagliare, potrò finalmente impegnarmi a diventare un’eccellente traduttrice anonima.

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Sementor: la quarta edizione è cominciata!

Ebbene, concentrata com’ero a commiserarmi [ahi, me tapina e blablabla!] mi rendo conto solo ora che fino a oggi non ho speso neanche una parola sull’associazione di cui faccio parte ormai da un anno.

Dall’articolo 3 dello statuto, Neu[nòi] – spazio al lavoro “ha finalità di promozione sociale e culturale. I valori ispiranti la sua iniziativa sono il coworking, l’imprenditoria sociale, la sostenibilità ambientale, la cultura e la promozione dell’arte in tutte le sue forme.
Si prefigge di:
– sostenere il territorio, la comunità e favorire lo sviluppo locale attraverso la promozione di cultura, collaborazione professionale, innovazione ed eco-innovazione;
– promuovere modalità e dinamiche di coworking e di collaborazione professionale tra i soci;
– favorire la crescita professionale dei soci in ogni forma e settore;
– offrire servizi e supporto per la realizzazione di progetti degli associati;
– educare la cittadinanza verso i principi della salvaguardia dell’ambiente, dell’eco-sostenibilità e dell’efficienza energetica;
Per la realizzazione del proprio scopo, “neu[nòi] – spazio al lavoro” potrà:
– organizzare convegni, dibattiti, seminari e workshop a favore degli associati e non;
– organizzare eventi formativi e culturali in genere;
– stipulare convenzioni operative con aziende, Enti pubblici ed entità sociali ed economiche al fine di migliorare le opportunità di sviluppo degli associati;
– istituire e gestire sedi operative professionali.
– intraprendere ogni altra attività inerente lo scopo associativo”.

Uno dei progetti più belli, e che mi sta molto a cuore, è Sementor, un percorso gratuito che permette, attraverso un passaggio di conoscenze e competenze tra esperti e non, di trasformare la propria idea in un progetto strutturato. I temi delle edizioni passate sono stati l’information technology, la riapertura di negozi del centro storico palermitano e il turismo. Quella iniziata l’undici di questo mese è dedicata, invece, al verde.
Rispetto alle edizioni precedenti – la prima mi è stata raccontata dal marito che vi ha partecipato, della seconda ho assistito a un incontro dedicato alle testimonianze di valore e all’evento finale, la terza l’ho vissuta un po’ di più ma non quanto avrei voluto – sto vivendo ogni singola fase del progetto, la scelta del tema, le prime riunioni organizzative, la divisione dei compiti, i colloqui conoscitivi, la scelta dei quindici partecipanti e il percorso insieme a loro.
Posso affermare che quest’ultima parte è senza ombra di dubbio il momento più bello e ricco.
Sì, è il momento più bello e ricco perché ti accorgi che in questa terra martoriata, in questa terra di gente che abbassa la testa davanti ai potenti invece di prenderli a calci nel culo, in questa terra di raccomandati e raccomandazioni, in questa terra da cui la gente scappa, sì, c’è chi ancora ha voglia di fare nonostante tutto, di condividere le proprie idee, di mettersi in gioco.

E c’è chi ha bisogno di sentirsi meno solo.

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Momenti, luci e ombre

Quanto ti ho trascurato, povero blog mio.
Mille volte ti ho pensato, mille volte ti ho scacciato!
Però guai se ti ho insultato, tantomeno amareggiato!
Ti ho solo un po’ ignorato, povero blog mio.

Lasciando perdere questi miei versi orrendi, è vero che non mi fermavo di qui da molto tempo, da fine settembre dell’anno passato. E nel 2013 ho scritto solo 9 post: si vede che avevo proprio poco da dire e quel poco non mi andava di dirlo. Oppure ho solo seguito il consiglio di Bukowski?

se non ti esplode dentro
a dispetto di tutto, non farlo.
a meno che non ti venga dritto dal
cuore e dalla mente e dalla bocca
e dalle viscere,
non farlo.
se devi startene seduto per ore
a fissare lo schermo del computer
o curvo sulla macchina da scrivere
alla ricerca delle parole,
non farlo. […]
se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
se stai cercando di scrivere come qualcun altro,
non farlo,
lascia perdere […]
(E così vorresti fare lo scrittore?, traduzione di Simona Viciani, Guanda, 2009, trovata in Questo è il punto, Francesca Serafini, Laterza 2012)

In questi giorni, poi, mi sono chiesta che cosa farne, di questo blog. Cambiare qualcosa, lasciarlo immutato? Chiuderlo e aprirne un altro?
Potrei forse fargli cambiare rotta, più personale o più professionale?
Potrei chiuderlo e cominciare daccapo, un metaforico nuovo inizio?
No, in effetti non farò nulla di tutto questo. Lo lascerò così perché, semplicemente, riflette quello che sono, il lavoro che ho scelto, quello che mi piace e mi incuriosisce, gli stati d’animo, i momenti di silenzio, i momenti bui. Ecco, forse negli ultimi tempi ho dato troppo spazio ai momenti bui e tralasciato quelli luminosi, di felicità inaspettata e attesa. E forse è venuto il momento di lasciare che entri un po’ di luce.

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Il giorno del traduttore

Dei santi non mi curo ma San Girolamo è l’occasione adatta a ricordare che i libri non si traducono da soli 😉

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Nostalgia di libreria

Prima di tornare a parlare di libri e traduzione – ehm, in effetti in questi ultimi mesi i due argomenti li ho toccati davvero poco, presa com’ero a piangermi addosso – parliamo di librerie. Voi lettori dove fate i vostri acquisti?
Fino a qualche anno fa – diciamo due tre – io compravo soprattutto in libreria. Ah, con quanta nostalgia ricordo i tempi in cui spendevo anche ottanta euro per i libri. Avevo – e ho ancora – le tessere di cinque librerie e riuscivo a usufruire di tutti gli sconti. Compravo libri almeno ogni due settimane, se non meno. Ormai – ahimè – non me lo posso più permettere e dunque compro spesso i libri in versione ebook, che non mi danno la minima soddisfazione ma costano poco, e spesso, pur trovando in libreria i titoli che mi interessano, li compro su Amazon per approfittare degli sconti, seppur piccoli. Ammettiamolo, è una tristezza cosmica. Cosa c’è di più bello che comprarsi quel romanzo ora e subito perché se no poi non lo trovi più e finire per leggerselo dopo anni?
Inoltre andare in libreria ormai mi soddisfa davvero poco. Quando vado in quelle di catena non trovo quasi mai quello che cerco e difficilmente riesco a scartabellare in santa pace, ci sono più gadget che libri e… odio la sistemazione in ordine alfabetico. Sì, mi sta proprio sulle scatole. Ricordo con nostalgia – sì, è già la seconda volta che uso questo sostantivo, la terza se consideriamo anche il titolo del post – una libreria Mondadori vicino casa, in una via centrale della città. Sì, era proprio una Mondadori ma gestita da una cooperativa: dunque in modo diverso da quelle di catena. Era una libreria con pochi fronzoli, pochi gadget – giusto qualche gioco per i più piccoli, cartoline e roba così, nulla di più – e tantissimi libri. Oserei dire che pur essendo più piccola di quella che ne ha preso il posto conteneva molti ma molti più volumi. E questi volumi erano sì sistemati in ordine alfabetico ma erano suddivisi anche per genere e casa editrice, una vera goduria! C’era il ricchissimo e curatissimo reparto bambini/ragazzi, la zona fantasy, la fantascienza, l’informatica, il rosa, il giallo, l’horror, un buon reparto di critica letteraria – in cui trovai alcuni testi critici su Tolkien per la tesi – il reparto classici, e una bella parete con tutte le case editrici più piccole. Mi piaceva andare lì – e per un mese la frequentai ogni giorno come stage finale del master in editoria – perché ogni volta potevo scegliere di guardarmi solo i classici, o solo le piccole case editrici, o solo i libri per ragazzi. In genere trovavo quel che cercavo ma mi piaceva lasciarmi sorprendere da piacevoli scoperte (Una di queste fu Edward Lear, per dire). Poi questa Mondadori chiuse nel 2008 per lasciare spazio a quel mostro di Rinascente che hanno aperto al suo posto, e qualche anno dopo riaprì come Mondadori Multicenter in pieno centro. Ma ormai aveva perso la vecchia magia, lasciandosi fagocitare da pile di libri inutili che oggi occupano tanto spazio prezioso rubato ai libri più belli.  

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Tutte le STRADE portano a…

strade-sindacato-traduttori-editoriali

… a Roma, dove noi di Strade abbiamo organizzato la nostra assemblea annuale più una giornata di confronto con SLC – con cui abbiamo firmato un protocollo d’intesa a fine dicembre 2012 – su tematiche che ci stanno a cuore come previdenza, assistenza sanitaria e compenso minimo.
Speravo in una maggiore partecipazione perché sia gli argomenti del seminario sia quelli dell’assemblea erano di fondamentale importanza. Ma, ahimè, non eravamo tantissimi. Pazienza, ognuno ha i suoi problemi di organizzazione e non; capisco dunque che non sempre è possibile seguire ciò che si vuole – e pensate se non lo capisco io che sono periferica e squattrinata!
Tra le varie questioni in ballo, di cui non parlerò qui, c’è quella della candidatura alla Segreteria. Molti soci vorrebbero che mi candidassi perché seguo già da vicino le attività sindacali e, a quanto pare, ripongono in me la loro fiducia (oddio, che poi abbiamo fiducia in me non lo so: diciamo che i candidati non sono tanti, ecco, e quindi ci si accontenta di quello che passa il convento, ossia io). Curioso!
Al momento io ripongo scarsissima fiducia nelle mie capacità e ciò mi crea non pochi problemi. Se ne avessi di più e fossi più forte, per esempio, è probabile che accetterei le critiche inutili con più serenità, accogliendole magari con una grassa risata. Ma non ci riesco. Almeno non ancora. Se le cose andassero, almeno cominciassero ad andare, per il verso giusto forse ci riuscirei. Ma da almeno un anno le cose vanno per un verso sbagliato, sbagliatissimo.
E allora che fare? Credo che per colpa di un maledetto e inutile senso del dovere alla fine mi farò avanti.
Ma sarò all’altezza? E riuscirei a sorbirmi quello che già so che mi dovrò sorbire?
Le mie risposte sono no e no.

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Perduta

Avere una corazza è necessario. È necessario per mantenere in salute il corpo e la mente. E quando la corazza non c’è – e più avanti vedremo perché – che succede? Succede che diventi vulnerabile, vulnerabile ai giudizi, alle critiche, alle offese, e ti senti continuamente sotto pressione, continuamente giudicata, continuamente rimproverata. E ti umili anche quando sai di avere ragione, anche quando non hai fatto nulla di male.  E ti senti pesante, pesante nel corpo, pesante nella mente.
Ma come, direte voi, è la corazza che ti appesantisce! No, vi rispondo io, la corazza è pesante solo dall’esterno: quando ce l’hai non la senti più, ti senti leggero e pronto a sfidare il mondo.
E allora perché non ce l’ho la corazza? Che fine ha fatto? L’ho persa, l’ho persa stupidamente, e tutte le mie battaglie per riconquistarla si sono rivelate fallimentari, un buco nell’acqua, nel vino e nella birra. Ho fatto una fatica immane, nel corso di questi anni, per comprarmi quella corazza, pezzo dopo pezzo. E adesso è perduta, perduta come la fiducia che avevo trovato in me, nelle mie capacità, nella mia intelligenza, nella mia forza di volontà.
E quando perdi tutto questo ogni critica fa male, è come un affondo di spada che fa sputare l’anima.
A dire il vero l’anima io l’ho solo vomitata però.

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